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31 Ott 2023
Missione trasporti sostenibili. L’obiettivo dell’Unione europea è trasferire dalla strada alla ferrovia il 30% delle merci su percorrenze superiori ai 300 chilometri entro il 2030. Un traguardo che impone un forte ricorso all’intermodalità, cioè a forme di trasporto combinato camion+treno. Tuttavia, secondo due report recenti della Corte dei conti Ue e di Greenpeace sullo stato dell’arte della logistica intermodale europea, tale obiettivo potrebbe risultare irrealistico.
Il quadro europeo
Secondo la Corte dei conti Ue, l’Unione è in ritardo nello sviluppo di una logistica intermodale e il sistema di sostegno normativo e finanziario finora messo in campo «non è stato sufficientemente efficace, poiché nell’Ue non esistono ancora condizioni di parità per il trasporto merci intermodale rispetto al trasporto stradale». Un giudizio che riassume un ampio spettro di criticità, che vanno dalla programmazione lacunosa degli interventi fino all’incoerenza delle normative, nazionali ed europee.
Nel documento, pubblicato a marzo 2023, la magistratura contabile denuncia la mancanza «di una strategia dedicata all’intermodalità»; i documenti prodotti da Bruxelles, infatti, includono obiettivi «irrealistici» e non tengono conto degli «attuali vincoli infrastrutturali a lungo termine per la ferrovia e le vie navigabili interne» e degli «ostacoli normativi, che incidono sulla competitività del trasporto intermodale». A conclusione del rapporto, la Corte segnala tre elementi da affrontare con urgenza per incrementare la «competitività del trasporto merci intermodale nell’Ue». Il primo fa riferimento alle carenze riscontrate «nella progettazione e nel monitoraggio degli obiettivi dell’Ue per il trasporto intermodale». Poi ci sono gli effetti negativi dell’incoerenza normativa in materia e, infine, sul versante operativo, la Corte segnala i «problemi nello sviluppo di terminali e infrastrutture lineari».
Le considerazioni della Corte dei conti Ue sui ritardi nell’intermodalità trovano conferma in uno studio di Greenpeace, diffuso a metà settembre, dal quale emerge che l’Europa investe più sulle autostrade che sulle ferrovie, incoraggiando così il trasporto su gomma, già oggi la modalità di gran lunga prevalente per la distribuzione delle merci. Da quando, negli anni Novanta, sono stati presi i primi impegni globali per ridurre le emissioni di gas serra, i Paesi europei hanno speso ben 1.500 miliardi di euro per le infrastrutture stradali e solo 930 miliardi di euro per quelle ferroviarie. Come conseguenza, dal 1995 in Europa sono stati costruiti più di 30mila chilometri di autostrade, con un aumento del 60 per cento. Allo stesso tempo, la rete ferroviaria si è ridotta del 6,5%, con una perdita complessiva di più di 15mila chilometri di linee ferroviarie. Oltre 13mila chilometri di binari, per lo più regionali, e quasi 2.600 fermate e stazioni di treni sono stati chiusi in via temporanea o definitiva. Per quanto riguarda l’Italia, dal 1995 al 2018 il nostro Paese ha investito il 28% in più sulle strade rispetto alle ferrovie, spendendo rispettivamente 151 e 118 miliardi di euro. Inoltre, nonostante la lunghezza della rete ferroviaria italiana sia aumentata del 5% rispetto al 1995, soprattutto grazie agli investimenti sull’alta velocità, questo è avvenuto a discapito delle linee regionali. Dal 1995 sono state infatti chiuse 40 linee ferroviarie, per un totale di più di 1.800 chilometri. Risultato: oggi in Europa la quota di mercato dell’autotrasporto è pari a circa il 75%, mentre il cargo ferroviario è al 17 per cento. In Italia va peggio: l’autotrasporto è oltre l’80%, mentre il trasporto merci su ferrovia è fermo a un modesto 11 per cento.
Italia, Pnrr e interporti
Ora nel nostro Paese si presenta l’occasione del Pnrr per invertire la tendenza: il Piano nazionale di ripresa e resilienza riserva oltre 25 miliardi allo sviluppo delle linee ad alta velocità e alta capacità (trasporto merci) e 5,45 miliardi al potenziamento e all’elettrificazione delle reti regionali, con particolare attenzione al Sud. In questo momento si stima che, sulla rete ferroviaria nazionale, siano attivi circa 4mila cantieri. Ma in Italia il rilancio del trasporto intermodale delle merci esige, oltre a rendere strutturali gli incentivi al trasporto combinato marittimo e ferroviario e lo sconto traccia per l’accesso alla rete, un forte sostegno all’ultimo miglio ferroviario, con l’adeguamento dell’infrastruttura stessa agli standard europei: binari lunghi 750 metri. Un caso virtuoso è rappresentato dalla stazione merci di Gallarate (Varese), dove Rfi (Gruppo Fs) ha di recente ultimato i lavori di adeguamento dei binari, ora in grado di accogliere treni merci lunghi 750 metri. L’intervento è considerato di particolare importanza dato che la stazione di Gallarate è collocata sull’asse internazionale Genova-Rotterdam, parte del corridoio Reno-Alpi che collega i porti della Liguria a quelli del Nord Europa. Leggi tutta la notizia
Fonte: IL SOLE 24 ORE