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21 Apr 2022
Creare nel Basso Piemonte, facendo perno sullo scalo smistamento ferroviario di Alessandria e sui “buffer”, una grande area retroportuale, un “porto a secco” che operi in stretto coordinamento con gli scali di Genova e Savona. Porti che sarebbero collegati sia su rotaia, per arrivare a comporre i treni da 750 metri, sia con il servizio shuttle gestito dai buffer, vere e proprie banchine intelligenti a secco, in grado di decongestionare i porti, rendendo contestualmente possibile l’attività delle banchine per più ore rispetto a quelle in cui oggi si concentra l’attività. Il gigantesco polmone retroportuale estenderebbe l’operatività all’intero Basso Piemonte, creando le condizioni per lo sviluppo di attività strettamente collegate come la lavorazione di una parte delle merci.
La soluzione arriva dagli Stati Generali della Logistica del Nord Ovest, tenutisi oggi ad Alessandria. Una soluzione non nuova, ma che oggi ha valenze operative, economiche e commerciali credibili. E soprattutto, fa leva sulle nuove tecnologie informatiche che consentono di coordinare al minuto le partenze e gli arrivi di container sulla connessione porto-retroporto.
Del resto, nuove sono le esigenze di efficienza e di tempi del sistema logistico: paradossalmente, se i porti di Genova e Savona, grazie anche al potenziamento delle infrastrutture portuali e marittime previste, incrementassero in modo significativo i loro volumi di traffico (specie container) oggi si troverebbero a far fronte a un effetto boomerang: l’aumento del traffico si tradurrebbe in un incremento dei tempi di sosta sulle banchine e nei terminal, in una congestione h 24 di ferrovie e specialmente autostrade e in una perdita complessiva di efficienza e affidabilità. In quel caso si innescherebbe una spirale negativa e verrebbe vanificata la grande opportunità non tanto di fare concorrenza ai porti del Nord Europa, quanto di recuperare una quota significativa dei circa 900 mila container con merce destinata al polo produttivo del Nord Ovest italiano e movimentati in porti del Nord Europa. Come emerso in una recente ricerca, considerando un valore medio-basso di 30 mila euro della merce contenuta in un container da 20 piedi, ogni container non movimentato nei porti italiani significa una perdita media di 7 mila euro di gettito Iva per l’Italia. Complessivamente significa circa mezzo miliardo di Iva regalato ogni anno a Olanda, Belgio e Germania.
Nuova è anche la prospettiva di una Zona Logistica Semplificata, che garantisca alle merci in sosta nella rete di retroporti ipotizzati nel Basso Piemonte di beneficiare di condizioni doganali favorevoli (differimento nel pagamento degli oneri), e che renda quindi economicamente sostenibile ciò che sino a oggi non è stato: ovvero una rottura di carico, termine tecnico che contraddistingue una sosta intermedia fra porto e area di consegna.
Secondo il calcolo messo a punto da studi paralleli della Bei e di Uirnet (ora Digitalog), lo spostamento di una quota consistente dei container (circa il 30%) costretti oggi a lunghe attese, o in porto o per entrare in porto, farebbe tornare i conti rendendo possibile nel retroporto anche la formazione di quei treni di 750 metri che rendono economicamente vantaggioso il trasporto container su ferrovia.
«Quella lanciata oggi – afferma Cesare Rossini, presidente della Fondazione Slala, principale promotrice dell’iniziativa – non è un’ipotesi progettuale; è una sfida che va vinta per la portualità ligure ma specialmente per la competitività ed efficienza del sistema industriale e logistico del Nord Ovest e quindi dell’intero Paese».
Con 20 milioni circa già disponibili nel decreto Genova ai quali potrebbe sommarsi un intervento specifico della Bei, con la creazione dei “buffer”, veri e propri cervelli pensanti del sistema, con l’intesa fra Slala e l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Ligure Occidentale sfociata nella scelta di queste strutture come retroporto in grado di accogliere e smistare circa 500.000 container all’anno, e con la Zona Logistica Semplificata, il sistema portuale ligure, oggi ai limiti del collasso anche a causa dei lavori sulla rete autostradale, potrebbe crescere dai circa 2,7 milioni di container TEU attuali a oltre 4 milioni, centrando parallelamente una serie di obiettivi strategici: decongestionare l’intero sistema (a beneficio anche di altre filiere come quella turistica), abbattere l’impatto ambientale, liberare le autostrade dalla morsa del traffico, incrementare i traffici portuali (e il conseguente gettito Iva), fertilizzare le aree retroportuali anche per eventuali attività industriali indotte. Il tutto con una proiezione di ritorno degli investimenti difficilmente riscontrabile in altre opere pubbliche.
Senza considerare il fatto che proprio lo Scalo Smistamento di Alessandria si troverà nevralgicamente all’uscita di un ramo del Terzo Valico ferroviario e quindi nella posizione ottimale per svolgere, insieme con le altre aree retroportuali raccordate, una vera e propria funzione di polmone.