Il sistema dei trasporti in Italia è un mosaico di eccellenze, ritardi cronici e frammentazioni che rischiano di comprometterne la funzione strategica per la competitività e la sostenibilità del Paese. Di fronte alla crescente complessità delle sfide – dalla transizione ecologica alla ripresa economica post‑pandemia – è urgente riflettere su come rendere questa infrastruttura più inclusiva, moderna ed efficace.
La forza e il tallone d’Achille del trasporto su strada
L’autotrasporto di merci resta il pilastro del trasporto italiano: flessibile, capillare e centrale per le filiere produttive. Tuttavia, non è immune da criticità. Da un lato, gli investimenti negli ultimi trent’anni hanno ridotto le emissioni, ma il parco veicolare resta largamente diesel: nel 2020 il 97 % dei camion lo era ancora. Dall’altro, i costi ambientali e infrastrutturali crescono e il costo del carburante grava direttamente sulla marginalità delle imprese.
Le autostrade del mare rappresentano una buona opportunità, riducendo traffico su gomma e inquinamento, ma restano largamente sottoutilizzate, frenate da burocrazia e mancanza di terminal intermodali efficienti.
Il coraggio del ferro? Ancora poco…
Il trasporto ferroviario appare ancora una scelta secondaria: nel 2024 i treni merci hanno percorso 51,2 milioni di treni*km, in calo del 5 % rispetto al picco del 2021.
Sguardo critico: qualità culturale e volontà politica
Il ritardo italiano non è solo infrastrutturale, ma culturale: il trasporto pubblico non è mai stato centrale nelle politiche, né nella mentalità collettiva . La priorità data alle grandi opere – spesso simboliche – sulle nuove linee ferroviarie lascia poco spazio a investimenti funzionali e quotidiani.
Inoltre, movimenti come il No‑TAV incarnano le divisioni tra cittadini: c’è chi dà priorità alla tutela del territorio e chi invoca sviluppo infrastrutturale. È un dibattito necessario, ma spesso reso sterile dalla mancanza di visione unitaria sul modello di mobilità futuro.