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05 Set 2024
GENOVA – L’obiettivo dovrebbe essere quello di aprire la partita una volta che saranno nominati i presidenti delle Autorità di sistema portuale, cioè gli enti che gestiscono le banchine italiane, oggi in buona parte commissariati (da Genova a Trieste, passando per Bari e lo Stretto di Messina) o con presidenti in scadenza (è il caso della Spezia). Dopo, i tempi dovrebbero essere maturi per avviare il cantiere della riforma portuale, annunciata due anni fa dal viceministro Edoardo Rixi (l’uomo che ha in mano molti dossier al ministero dei Trasporti) e poi nei fatti rimasta a languire.
Alla Camera, in commissione Trasporti, i gruppi parlamentari hanno presentato a suo tempo almeno cinque diverse risoluzioni sul tema riforma, scrivendo cosa ci deve essere dentro e cosa no. Diversi esperti di portualità, figure interne al ministero, ma anche associazioni di categoria, e la stessa Struttura tecnica di missione hanno lavorato su almeno quattro testi di riforma, e ora è il momento di una non facile sintesi, che dovrà essere messa nero su bianco con una delega al governo, da mesi in attesa di un treno normativo per essere scritta. In queste ore si era parlato della prossima legge di Bilancio, ma fonti del Mef smentiscono questa ipotesi. Secondo Srm, il centro studi collegato a Intesa Sanpaolo, il valore economico generato dai porti è di otto miliardi.
L’idea nel governo e del ministero dei Trasporti in particolare non è limitarsi a un maquillage dell’attuale legge portuale, ma incidere con un lavoro in grado di resistere nel tempo. Pietra angolare di questa riforma è un super-ente «di un coordinamento nazionale, con una visione di sistema – ha detto Rixi in un recente Forum organizzato dal gruppo Gedi -. Altrimenti ci ritroveremo con altre banchine e infrastrutture inutili. Il soggetto centrale che abbiamo in mente - ha aggiunto - dovrà essere in grado di coordinare la portualità e anche acquisire infrastrutture all’estero». L’obiettivo è evitare internamente gli errori di pianificazione del passato (per esempio: l’Italia ha costruito tre mega-porti di trasbordo, ne è sopravvissuto uno, il primo che era stato fatto, cioè Gioia Tauro) ed esternamente creare un soggetto in grado di trattare con i mega-gruppi internazionali che oggi gestiscono tanta parte dello shipping, e soprattutto fare investimenti all’estero, con partecipazioni strategiche in altre società di gestione portuale.
Le proposte sul tavolo vanno da un rafforzamento dell’attuale Conferenza dei presidenti delle Autorità portuali al ministero (che però non è mai decollata) a una vera e propria holding pubblica. Il modello cui Rixi guarda con maggiore interesse è quello dell’Enav, società del governo con oltre il 53%, ma quotata in Borsa con un ampio flottante e un 10% di soci istituzionali, non solo italiani. Che gestisce il traffico aereo, ma ha anche consulenze e clienti all’estero.
Per la Porti SpA, una quotazione sembra tuttavia parecchio lontana: «Nessuno - dice una fonte vicino al dossier - ha mai pensato seriamente di patrimonializzare una società per azioni con gli asset demaniali portuali». «Bisognerebbe – spiega un’altra fonte tecnica – trasformare il demanio in superficie inalienabile non demaniale, patrimonializzare le Autorità portuali con queste aree e in virtù di questa procedura gli enti potrebbero chiedere finanziamenti, ma non ci sarebbe alcun beneficio di incassi per lo Stato». Leggi tutta la notizia
Fonte: THE MEDI TELEGRAPH