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23 Feb 2023
BOLOGNA – Alberto Collini ci ha lasciato e adesso – come amava ripetere – starà discutendo da qualche parte «con il biondo» per mettersi d’accordo su chi realmente comanda. Perché Collini di stare in seconda fascia non ne voleva sapere. Per tutti, in Federtrasporti e non solo, era sempre stato «il presidente», ruolo che in effetti, all’interno di questo raggruppamento di imprese sorto nel 1971 anche tramite la sua iniziativa, aveva ricoperto per lunghi decenni a partire dal 1985. E del presidente Collini aveva la determinazione e il fisico: alto, atletico e possente. Nei convegni, nelle assemblee, nelle cene aziendali, lui dominava la scena: si impossessava del microfono e non lo lasciava più. E parlava, a volte anche per ore, trasmettendo carisma e autorevolezza e trovando sempre una maniera per interpretare a modo suo anche quelle piroette che la storia gli faceva davanti. Celeberrime le sue interpretazioni dell’economia globalizzata e di come anche lo slancio aggregativo avrebbe dovuto dotarsi di una dimensione sempre più allargata.
Perché alla fine questo toscano dagli occhi azzurri e la voce vigorosa aveva sempre una visione: sapeva perfettamente da dove veniva e aveva chiaro in testa dove sarebbe voluto arrivare. Disponeva cioè per un verso della memoria storica, del ricordo delle vicende che avevano segnato la sua vita e quella dell’intero autotrasporto italiano. Ma immaginava chiaramente il percorso da seguire per giungere alla destinazione finale, che era ovviamente quella di contare di più unendo le forze, le passioni, le energie.
Nell’ultima intervista che ha rilasciato a Umberto Cutolo in occasione dei 50 anni della Federtrasporti, pubblicata circa un anno e mezzo fa nell’ultima edizione dei «100 Numeri per capire l’autotrasporto», lo diceva a chiare lettere: «Da soli non si va da nessuna parte». Una verità che Collini aveva appreso presto nella vita e poi gli era apparsa negli anni sempre più evidente dopo ogni chilometro percorso. Ecco perché ci è sembrato il tributo migliore, il più autentico e il più completo, riproporvi ampi passaggi di quella chiacchierata. Dentro c’è tutto: la sua vita, il suo lavoro, i suoi sogni.
«Da soli non si va da nessuna parte»
«Ci è passato un visibilio di acqua in questo fiume della mia vita». Forse la frase più efficace per descrivere in poche parole Alberto Collini l’ha pronunciata proprio lui, a conclusione di questa intervista che aveva l’assurda pretesa di raccontarlo, questo «visibilio di acqua»; di ripercorrerlo insieme a lui, questo «fiume della sua vita»; di tradurla in un numero comunque insufficiente di parole, questa storia emblematica di uno dei tanti giovani che, usciti dalla seconda Guerra mondiale pieni di idee, di energia e di voglia di lavorare hanno costruito negli anni successivi l’ossatura dell’Italia, procurandole un’epoca di tranquillo benessere.
In quei giorni, del resto, muoversi in un settore come l’autotrasporto, subito determinante per la Ricostruzione, era come trovarsi nell’ombelico del mondo, con quell’andare su e giù per il Paese – la mattina da una parte, la sera da un’altra – senza fermarsi mai, in un moto perpetuo che divorava i giorni come i chilometri che si snodavano davanti al camion, trasformandoli in storia. Perché quel cambiare luogo in continuazione era anche scambio culturale, stimolo alla crescita, occasione di sviluppo. E la curva sulla strada non era poi tanto diversa dalla svolta che ogni tanto bisogna dare alla propria esistenza per imboccare la via giusta. È quello che hanno fatto tanti autotrasportatori partiti dal primo camion – spesso un residuato bellico – e cresciuti fino a creare imprese di grandi dimensioni. È quello che ha fatto, in quel «fiume della sua vita», anche Collini, che ancor oggi, quando ne parla, è un torrente impetuoso di racconti, di storie, di episodi, lui che ha passato i novant’anni, ma con i camion aveva avuto a che fare ancor prima di nascere. Leggi tutta la notizia
Fonte: FEDERTRASPORTI