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15 Nov 2022

Operazione Hermes: racket di camionisti stranieri nel piacentino

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Indagata grande azienda di trasporti piacentina-

 

Operazione Hermes: “Una lunga ed articolata attività investigativa, coordinata dalla Procura della Repubblica di Piacenza e condotta dalla Squadra mobile della Questura di Piacenza – in collaborazione con le Sezioni Polizia stradale di Trento e di Piacenza e con il Nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Piacenza – ha portato a svelare un articolato sistema criminale”, spiega una nota della Questura, guidata da Filippo Guglielmino. “Era orchestrato dai responsabili di un’azienda di trasporti piacentina, autori di gravi reati quali caporalato, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e falso in atti pubblici; condotte per le quali il Gip del Tribunale di Piacenza ha emesso a loro carico un’ordinanza di misure cautelari personali e reali”.

 

La complessa indagine dell’Operazione Hermes “ha riguardato infatti i preposti di una grande azienda di trasporti piacentina dediti a reclutare all’estero cittadini extracomunitari, fornendogli previo lauto corrispettivo anche falsi documenti di identità e di circolazione europei, per poi impiegarli come camionisti alle loro dipendenze ed in condizioni di sfruttamento”.

 

I lavoratori, “in condizione di irregolarità sul territorio nazionale, venivano assunti con le false generalità alle dipendenze di aziende fittizie, anche formalmente localizzate all’estero, ma comunque riconducibili alla stessa azienda avente sede nel Capoluogo. Approfittando proprio dello stato di bisogno in cui i camionisti versavano, poiché irregolari sul territorio italiano, con documenti falsi e privi di qualsiasi altro contatto o alternativa lavorativa in Italia, ne sfruttavano le prestazioni imponendo turni di servizio massacranti e stipandoli in luoghi insalubri nelle pause tra un viaggio e l’altro”.

 

Gli stipendi versati agli autisti “erano invece difformi dai contratti collettivi nazionali e sproporzionati rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato. I pagamenti avvenivano senza alcuna busta paga e con ulteriori decurtazioni qualora non venisse svolto il lavoro straordinario o vi fosse un ritardo sui tempi di consegna. Venivano inoltre contabilizzate le rate per pagare i documenti falsi forniti, che venivano stornate dallo stipendio, così come venivano stornati i corrispettivi per riposare nelle baracche messe a disposizione dall’azienda, e pure le spese per gli incidenti stradali che occorrevano durante i massacranti turni di lavoro”.

 

I lavoratori “erano tra l’altro costretti continuamente a mettersi alla guida nonostante la stanchezza o comunque fossero in condizioni psicofisiche tali da non permettere di mettersi alla guida in sicurezza. Le eventuali sanzioni per aver sforato i tempi di guida venivano pagate dall’impresa in quanto rientrava nella policy aziendale la costante violazione della normativa in materia. Un dipendente era addirittura soprannominato Kamikaze, per la sua capacità di guidare in qualsiasi situazione”.

 

Complessivamente “sono 44 i camionisti stranieri individuati nel corso delle indagini quali vittime del reato di caporalato; persone in situazione di estremo bisogno grazie alle quali gli indagati potevano trarre profitto. Tali condotte illecite avvenivano con finalità di lucro, aggiunge la nota della Questura, ottenuto sia dalle condizioni di lavoro del tutto inique a cui venivano sottoposti i dipendenti in situazione di estremo bisogno, che  comportavano un notevole abbattimento dei costi d’impresa, che dai corrispettivi percepiti per il favoreggiamento dell’ingresso in Italia e della permanenza dei cittadini extracomunitari irregolari”.

 

DUE ANNI DI INDAGINI

 

L’attività d’indagine, prosegue la nota, “ha avuto origine nel 2020 dalla convergenza investigativa tra la Sezione criminalità organizzata della Squadra mobile di Piacenza e la Sottosezione Polizia stradale di Trento sull’azienda in questione, a seguito di alcuni accertamenti svolti d’iniziativa dalla Questura ed al contemporaneo arresto in flagranza di un autista brasiliano, dipendente dell’azienda e sorpreso dalla Polizia stradale a Trento in possesso di falsi documenti greci”.

 

L’Operazione Hermes “ha permesso di ricostruire un complesso sistema, articolato in più fasi, finalizzato dapprima a consentire l’ingresso illegale nello Stato di soggetti extracomunitari, per poi sfruttarli quali camionisti a basso costo. La rete criminale dapprima invitava in Italia vari soggetti, inizialmente perlopiù brasiliani, che dietro lauto corrispettivo venivano pure dotati dagli indagati di patenti di guida e documenti di identità europei, principalmente greci, e fatti quindi lavorare come camionisti alle dipendenze della società di trasporto”.

 

Ulteriori “cittadini brasiliani desiderosi di entrare in Italia venivano contattati dagli indagati tramite i connazionali già presenti, e dietro corrispettivo di circa 500 euro ottenevano la possibilità di fare ingresso in Italia, dove venivano direttamente accompagnati nell’azienda di trasporti, che forniva loro dietro ulteriore compenso i documenti contraffatti, per i quali dovevano invece versare fino a 2.500 euro. Gli stranieri già indebitati firmavano quindi con il falso nome un contratto di lavoro, ed iniziavano l’attività di autisti a bordo dei camion dell’impresa, in condizioni di impiego ed alloggiamento degradanti”.

 

NUOVI RECLUTAMENTI

 

I camionisti “tra un viaggio e l’altro dormivano a bordo dei mezzi di trasporto nel piazzale dell’azienda, e potevano usufruire anche di alcune baracche presenti nella piazzola. A seguito delle limitazioni alla circolazione oltreoceano per la pandemia, la rete criminale doveva virare sul reclutamento di cittadini turchi e moldavi, ai quali non era necessario fornire documenti falsi perché era sufficiente assumerli tramite una inesistente società di diritto bulgaro, gestita dalle medesime persone e costituita ad hoc, per poi fintamente distaccarli presso la società di trasporti italiana. Tale distacco transnazionale era sufficiente a permettere comunque loro la libera circolazione sul territorio nazionale, formalmente per un periodo limitato di tempo”.

 

Lo schema criminale nel corso delle indagini dell’Operazione Hermes “veniva quindi adeguato dagli autori in base alle necessità, addirittura minimizzando i rischi di essere scoperti. Per quanto riguarda invece le insalubri e degradanti condizioni di impiego, le baracche situate all’interno dell’azienda in cui durante le pause venivano stipati i camionisti erano in condizioni igieniche fatiscenti, con addirittura pericoli di sicurezza per il rischio di innesco di incendi: oltre alle gravi carenze negli impianti elettrici, vi era negli ambienti dedicati al riposo anche una “sauna” con focolare a fiamma libera”.

 

I rifiuti “erano liberamente stipati nel piazzale dell’azienda, ed anche i rifiuti liquidi non venivano correttamente sversati. Si riscontrava inoltre che nel piazzale dell’azienda venivano svolte attività artigianali abusive di meccanica e di gommista, con conseguente sequestro delle stesse. A riprova del totale stato di assoggettamento dei lavoratori, è emerso nelle intercettazioni disposte per l’Operazione Hermes, la disperazione di alcuni ex dipendenti, che cercavano di elemosinare ai responsabili dell’impresa dei soldi per poter mangiare, dopo essere stati licenziati in tronco dall’azienda a seguito delle irregolarità rilevate dalle Forze dell’Ordine”.

 

Per acclarare l’ipotesi del reato di caporalato di cui all’articolo 603-bis del codice penale “sono stati eseguiti dagli investigatori dei mirati accertamenti, grazie anche alla collaborazione dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro, enucleando i cosiddetti “reati sentinella” di cui alla legge 81/’08 (sicurezza sul lavoro) e successive modifiche, nonché violazioni di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (norme in materia ambientale)”.

 

MILLE INFRAZIONI IN TRE MESI

 

La contestazione, aggiunge la nota della Questura piacentina, “è stata cristallizzata anche attraverso l’attività svolta con le Sezioni PolStrada, di concerto con la locale Ausl – Servizio di Medicina del lavoro, nonché l’Agenzia regionale per la Prevenzione, l’Ambiente e l’Energia dell’Emilia-Romagna (Arpae). Tramite un consulente tecnico sono stati analizzati i cronotachigrafi sequestrati dalla Polizia Stradale a numerosi autisti, facendo emergere in un periodo d’esame di soli tre mesi quasi mille infrazioni al codice della strada, principalmente per il mancato rispetto dei tempi di guida”.

 

L’azienda “invitava infatti i lavoratori a fare un uso improprio dei cronotachigrafi, al fine di non essere scoperti durante i controlli. Un’ampia attività di accertamento è stata eseguita in particolare con la locale Guardia di Finanza, al fine di delineare con precisione gli illeciti societari commessi dal gruppo ed in particolare la cosiddetta esterovestizione societaria. Infatti, l’azienda assumeva i propri autisti anche per il tramite di un’azienda fittizia bulgara”. 

 

Nel corso della perquisizione a Piacenza “veniva sequestrata dagli investigatori copiosa documentazione contabile, oltreché il timbro originale della società bulgara, a riprova che l’assunzione avvenisse realmente in Italia, nonché documentazione bancaria e strumenti di pagamento elettronici, quali token e carte di credito sempre riconducibili alla fittizia ditta estera. Il locale Ispettorato territoriale del lavoro ha irrogato a seguito dei controlli effettuati delle sanzioni amministrative a vario titolo a carico dell’azienda e dei lavoratori ivi impiegati per un importo complessivo prossimo a 1.5000.000 euro con riferimento agli anni 2021 e 2022”. Leggi tutta la notizia

 

Fonte: ILMIOGIORNALE.NET

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