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25 Mag 2022
Terremoto nel settore della logistica parmigiana. La Guardia di finanza di Parma ha eseguito un provvedimento di sequestro, emesso dal Gip su richiesta della Procura della Repubblica di Parma, di cinque società parmigiane attive nel settore del facchinaggio e della movimentazione merci. La misura ha riguardato anche beni mobili e immobili e quote societarie per l'importo complessivo di 42 milioni di euro. Dodici persone sono indagate per reati fiscali.
Le cinque società coinvolte nell'inchiesta impiegano centinaia di lavoratori. È stato nominato un'amministratore giudiziario per consentire la continuità produttiva delle aziende e a tutela dei posti di lavoro. Secondo l'accusa le cinque imprese di Parma avrebbero messo in atto una grossa frode fiscale ai danni dell'erario, attraverso l'evasione dell'Iva e l'emissione di fatture false che ammonterebbero a ben 164 milioni di euro.
In particolare una della società, molto nota in città e considerata dagli investigatori la capofila, avrebbe utilizzato le altre quattro società 'satellite' per ottenere vantaggi fiscali illeciti attraverso l'assunzione del personale che avrebbe svolto il lavoro sotto la direzione e alla dirette dipendenze dell'azienda capogruppo.
Le indagini, dirette dalla Procura della Repubblica di Parma e svolte dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della guardia di finanza di Parma, sono partite da due infortuni sul lavoro verificatisi a Parma all’interno dei magazzini di movimentazione delle merci della società di logistica, in cui sono rimasti coinvolti due lavoratori stranieri, risultati dipendenti di imprese e cooperative diverse dalla società capofila.
"In particolare, le indagini sugli infortuni - si legge in una nota della Procura - consentivano di ipotizzare diverse violazioni alla normativa antinfortunistica e permettevano di individuare un’unica realtà economica di riferimento, l’esistenza di plurimi contratti di appalto e di sub-appalto interni al gruppo, mediante l’interposizione di altre società appartenenti al gruppo stesso, nonché la coincidenza dei dirigenti delle varie realtà aziendali di riferimento".
Secondo l'accusa la società capofila avrebbe messo in atto un meccanismo fraudolento che sarebbe stato realizzato con il ricorso a numerosi contratti d’appalto non genuini, stante l’assenza, in capo alle imprese appaltatrici, di quegli elementi sintomatici della genuinità degli appalti, ovvero:
organizzazione dei mezzi, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto; potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto; assunzione del rischio d’impresa.
"In particolare - prosegue la nota della Procura della Repubblica - , secondo l’ipotesi accusatoria, condivisa dal GIP, quel che appare dalle indagini è un’unitaria struttura direttiva e organizzativa accentrata nella impresa capofila per la gestione del personale facente capo alle diverse imprese “consociate”.
A titolo esemplificativo, la capogruppo avrebbe deciso le assunzioni, l’impiego, l’organizzazione e la retribuzione dei lavoratori delle diverse imprese appaltatrici che operavano in modo promiscuo presso le medesime sedi operative, a dimostrazione di una regia unica effettiva. Di contro, le imprese appaltatrici sarebbero rimaste prive di autonomia nella gestione ordinaria dei rapporti contrattuali e finanziari con i propri fornitori (ad es. di carrelli elevatori e abbigliamento da lavoro).
Infine, la capogruppo appare aver determinato anche le tariffe che le imprese appaltatrici avrebbero dovuto praticare nei suoi confronti, ricorrendo ad un collaudato sistema di conguagli che, in realtà, sarebbero serviti a compensare a fine anno (e dunque a posteriori) eventuali ulteriori costi non preventivati e a redistribuire i margini a cascata sulle “consociate”, in modo da eliminare qualsiasi rischio d’impresa in capo alle società appaltatrici, così portandole, quantomeno, in una situazione di pareggio costi/ricavi".
Peraltro, nelle fatture emesse in occasione dei conguagli, il riconoscimento di tali maggiori importi per centinaia di migliaia di euro era formalmente giustificato con motivazioni diverse.
L’ingerenza della società capofila appare assicurata sia attraverso l’impiego, presso le società satellite, di persone di fiducia con incarichi dirigenziali (i quali, al di là della formale posizione ricoperta, in realtà appaiono agire in nome e per conto della prima) sia mediante la realizzazione, meramente formale, di una rete d’impresa, all’interno della quale, di fatto, tutte le decisioni verrebbero assunte dalla capogruppo.
Tra le imprese “consociate” figurano anche tre cooperative di produzione e lavoro che, in base a quanto emerso dalle indagini, sarebbero di fatto prive dei requisiti mutualistici ma, in virtù della veste formale loro attribuita di società cooperativa, hanno in taluni casi beneficiato di un regime fiscale agevolato sul reddito prodotto di cui non avrebbe potuto usufruire la capogruppo, trattandosi di impresa commerciale.
Secondo l’ipotesi d’accusa, tale meccanismo fraudolento avrebbe prodotto vantaggiosi effetti fiscali per la committente consistenti in: detrazioni dell’IVA delle fatture ricevute dagli appaltatori, per diversi milioni di euro all’anno; costi deducibili anche ai fini IRAP essendo qualificati quali costi per servizi; trasferimento di fatto del debito IVA alle società appaltatrici collegate, alle quali vengono infatti contestate condotte di omesso versamento di IVA per gli anni dal 2017 al 2019 per un importo totale di euro € 16.451.781. In un caso, una delle imprese “consociate” avrebbe trasferito la sede all’estero senza versare il debito d’imposta a suo carico, ammontante a circa 500.000 euro.
Ciò avrebbe comportato, altresì, un vantaggio competitivo per la capogruppo, consentendole di praticare alle imprese clienti condizioni economiche più favorevoli rispetto ai concorrenti. I reati a vario titolo contestati sono l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, l’omesso versamento di IVA, l’omessa dichiarazione ai fini dell’IVA (artt. 2, 5, 8 e 10-ter D.lgs. 74/2000), con la complessiva rilevazione di:
A ciò si aggiunga la contestazione di lesioni personali colpose per gli infortuni sul lavoro (art. 590 c. 3 c.p.), settore sul quale da tempo la Procura di Parma è particolarmente impegnata.
Inoltre, alla società capogruppo e a tre società satellite sono contestati gli illeciti previsti dall’art. 25-quinquiesdecies del D.Lgs. 231/2001 (responsabilità amministrativa degli Enti), in quanto: la prima si sarebbe dotata di un modello organizzativo deficitario poiché non contemplante alcun monitoraggio dell’effettività dei contratti di appalto di lavori e servizi nel loro concreto estrinsecarsi; le altre società avrebbero omesso di adottare un modello organizzativo idoneo a scongiurare condotte illecite commesse da chi rivestiva in seno ad esse ruoli apicali al precipuo scopo di favorirle. Leggi tutta la notizia
Fonte: PARMATODAY