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03 Ott 2019

Così i big dello shipping puntano sull’Italia

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Le maggiori compagnie di navigazione hanno aumentato l’attenzione sulle rotte del Mar Mediterraneo.

 

GENOVA - L’Unctad (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) e l’istituto di ricerca su trasporti e logistica Mds Transmodal hanno sviluppato negli ultimi anni un indice di connettività marittima (Lsci) che misura l’importanza che hanno i diversi paesi del mondo per le compagnie portacontainer. Si tratta di una cartina tornasole in tempo reale, basata sui segnali Ais emessi dalle navi, delle strategie portuali dei vettori marittimi. Da quest’anno accanto alla classifica per Paese viene elaborato anche l’indice per ogni singolo porto (Plsci). Si tratta di dati importanti per capire la portualità italiana e la valutazione che ne danno i grandi armatori. Il porto di Genova è il primo in Italia, il settimo in Mediterraneo e il 32esimo nel mondo nelle scelte delle compagnie.

 

L’indice Plsci dei principali porti italiani è migliore rispetto alla loro posizione nelle classifiche dei container movimentati: come si spiega questa discrepanza?


«Queste classifiche andrebbero considerate nella loro individualità e non confrontate, in quanto misurano aspetti diversi - risponde Antonella Teodoro, consulente di Mds Transport -. L’indice Lsci considera ad esempio l’offerta fornita dalle compagnie di navigazione anziché la movimentazione portuale, offerta nel primo caso e domanda nel secondo».

 

Quali indicazioni si possono trarre analizzando i dati dei 26 porti italiani considerati nell’indice?


«La connettività dei porti italiani sta migliorando grazie a due fattori principali: da un lato gli investimenti specifici sui porti da parte delle compagnie di navigazione e dall’altro la maggiore attenzione che le compagnie di navigazione stanno ponendo a favore dei porti del Mediterraneo, compresi i porti italiani. I primi Paesi del Nord Europa hanno in generale visto una diminuzione dei loro indici di connettività mentre i Paesi del Mediterraneo hanno generalmente visto un miglioramento del loro Lsci nell’ultimo anno. Ad esempio, Italia e Grecia hanno entrambi visto un aumento del numero dei servizi con navi più grandi. Nello specifico, la dimensione media (per servizio marittimo) massima delle navi in Italia è passata da 14.775 a 18.248 teu con il lancio del servizio Jade/Ae11 di 2M, che fa scalo a Gioia Tauro, principale porto transhipment italiano; questo è stato indubbiamente uno dei fattori che ha permesso al Paese di passare dal settimo posto al sesto e il suo indice nazionale di salire da 64 a 69».

 

Dai dati dell’indice possono dire qualcosa sulla crisi dei porti di trasbordo italiano?


«Non direttamente, in quanto l’indice Lsci considera solo collegamenti diretti. Globalmente però si stima che la quota delle movimentazioni transhipment sia in diminuzione. Gli operatori non richiedono la stessa frequenza, nell’interesse di mantenere bassi i costi».

 

Osservando i dati dell’indice nel corso degli anni, è possibile dire come hanno inciso in Italia lo sviluppo del gigantismo navale, quello della concentrazione delle compagnie e quello della riduzione del numero delle Alleanze?


«Quelli indicati sono eventi che hanno inciso, in generale, positivamente sul grado di connettività dei porti italiani. L’Italia sta dimostrando di avere le potenzialità per competere con i porti concorrenti del Mediterraneo, ma anche del Nord Europa. Il mio personale parere è che per capitalizzare queste opportunità si dovrebbe puntare su pochi porti per continuare ad attirare le compagnie di navigazione».

 

Il porto di Gioia Tauro ha vissuto negli ultimi anni una crisi dei traffici, ma ha un indice Plsci in crescita: a che cosa è dovuta questa differenza? Vuol dire che c’era una forte capacità di stiva che arrivava nello scalo, ma generava poco traffico?


«Quello che emerge è che una buona connettività per un porto, la sua capacità di attirare operatori importanti con navi grandi non è necessariamente sinonimo di movimentazione di traffici da parte del porto. Ma emerge anche che se le compagnie di navigazione hanno un interesse nel porto, possono incidere sui volumi che lo stesso muove, vedi porto del Pireo in Grecia». Leggi tutta la notizia

 

 

Fonte: THE MEDITELEGRAPH

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