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17 Lug 2019

Crisi autotrasporto: per Contship la soluzione sta nell'intermodalità

contship_intermodale

 

Necessario ridistribuire il traffico pesante sfruttando la flessibilità del vettore stradale.

 

Quali sono i fattori che hanno determinato e aggravano la crisi del settore dell'autotrasporto italiano? Ha provato ad individuarli il gruppo Contship Italia, che non è specificamente impegnato in questo comparto essendo attivo principalmente nei campi del terminalismo portuale, dell'intermodalità ferroviaria e della logistica, ma che si confronta quotidianamente con gli operatori del trasporto su gomma. Ne è nato un White Paper, in cui il gruppo ha raccolto una serie di dati utili a fare il punto sui diversi fattori che influenzano le dinamiche del settore, e a riflettere su alcune possibili soluzioni alla crisi. Soluzioni che, da quanto si desume dal Libro Bianco, sembrano invero tendere a tirare l'acqua al proprio mulino, dato che Contship Italia, riferendosi in particolare alla ripartizione modale, rileva che «il quadro economico e normativo determinato dalle scelte dei policy-makers è chiaramente legato a doppio filo alla disponibilità e alla sostenibilità economica delle alternative ferroviarie, che divengono progressivamente, a loro volta, volano del trasferimento dei volumi dalla strada alla ferrovia. Quando sussistono le condizioni per rendere praticabile questo percorso, e quando le scelte politico-economiche lo sostengono - sottolinea il White Paper - è dunque possibile innescare un circolo virtuoso, che permette agli operatori di investire nello sviluppo di nuovi servizi, facendo leva su economie di scala, infrastrutture dedicate, know-how e sensibilità del mercato; mercato che a sua volta riconosce, nel medio periodo, i vantaggi economici e operativi legati ad un mix modale più equilibrato e sostenibile, orientando la domanda verso un utilizzo sempre più spinto e intelligente dell'opzione intermodale».


Nel documento, dal titolo “L'autotrasporto italiano, tra crisi congiunturale, competizione internazionale e nuovi modelli di business”, Contship evidenzia come «il settore del trasporto su gomma italiano continui ad attraversare un periodo difficile, stretto tra il rallentamento della crescita a livello macroeconomico, la competizione con i trasportatori esteri e la necessità di rinnovare il proprio modello di business, per rispondere alle sfide imposte dal mercato e dall'evoluzione tecnologica».


Se «in Europa - rileva il documento - tre quarti del trasporto merci terrestre viaggia su strada (76,4%) e meno di un quinto (17,4%) su ferrovia; la quota restante (6,2%) si muove attraverso vie d'acqua interne. In Italia, quest'ultima modalità non è utilizzata, e lo split modale è ancora più sbilanciato a favore del trasporto stradale: 85,5% contro 14,5% (dati Eurostat 2016)». «Dai dati elaborati da Eurostat - prosegue il Libro Bianco - si scopre che nel 2016 il trasporto italiano ha movimentato su scala nazionale 881.330 migliaia di tonnellate di merce, totalizzando oltre 100.200 milioni di tonnellate-kilometro, con una distanza media percorsa per ogni viaggio pari a 114 km. Per quanto riguarda le attività di trasporto internazionale, effettuate da aziende italiane, si parla invece di 20.170 migliaia di tonnellate movimentate e 12.355 milioni di tonnellate-kilometro, con una distanza media percorsa per ogni viaggio che supera i 600 km, sensibilmente più alta di quanto registrato in Germania, Francia e Olanda, e in linea invece con quanto registrato in Croazia, Slovacchia, Slovenia e Repubblica Ceca. In questo contesto competitivo, l'Italia continua a soffrire di un costante aumento dei costi e di una progressiva riduzione della competitività: il costo per kilometro del trasporto pesante italiano (escludendo i costi strutturali) resta uno dei più alti in Europa».


Il report constata inoltre come il Centro Studi della Banca d'Italia evidenzi che «il settore del trasporto su strada contribuisce in maniera crescente al rilevante disavanzo nella bilancia dei pagamenti internazionali nel settore dei trasporti, che caratterizza strutturalmente l'economia italiana. Infatti, il disavanzo generato dal trasporto su strada era nel 2008 pari a -1,58 miliardi di euro, salito a -2,37 miliardi nel 2013 e a ben -3,27 miliardi nel 2017. Il trasporto su strada è passato dall'essere il segmento di mercato in grado di incidere per il 30,6% del saldo negativo nel 2008 al 54,6% del 2017 a causa della continua perdita di competitività delle imprese dell'autotrasporto italiano».


«La vicinanza a Paesi fonte di competizione, caratterizzati da un minore costo del lavoro (Slovenia, Croazia, Ungheria e Romania) - osserva il White Paper - non aiuta gli operatori italiani, che hanno registrato, tra il 2008 e il 2016, un calo del volume d'affari del 5% a livello nazionale, e del 10% a livello internazionale. Da notare che il 90% circa dell'attività di trasporto pesante dei trasportatori italiani ha luogo all'interno dei confini nazionali, e solo il 10% riguarda traffici internazionali».


Tra i problemi più pressanti per il comparto dell'autotrasporto, in generale nei Paesi europei e in particolare in Italia, il documento cita la mancanza di autisti qualificati. «Sono molti gli osservatori - rileva il White Paper - che guardano a questa dinamica come ad uno dei principali fattori che oggi limitano lo sviluppo dell'industria logistica. La mancanza di autisti diventa spesso il collo di bottiglia che si nasconde dietro alla carenza di capacità di carico, la quale a sua volta spinge verso l'alto i prezzi del servizio e la pressione legata ai tempi di consegna e ad uno sfruttamento spesso eccessivo delle risorse umane disponibili. Il trend, particolarmente evidente fin dal 2016, porta alcuni analisti ad ipotizzare un imminente collasso del sistema, a partire dai Paesi maggiormente coinvolti dal problema, come la Germania». Secondo il report, «le motivazioni di questa carenza di autisti vanno ricercate nella durezza del mestiere, che implica lunghi viaggi lontano da casa, orari iper-flessibili e lunghe attese, rischi e difficoltà spesso non adeguatamente remunerati, anche a causa della pressione sui salari, mantenuta alta dalla competizione degli autisti stranieri e dalla necessità delle aziende di tenere i costi sotto controllo. Questi elementi contribuiscono a limitare il numero di lavoratori che scelgono di intraprendere la professione, innalzando progressivamente l'età media degli autisti».


Anche qui Contship spezza una lancia a favore del trasporto intermodale rimarcando l'importanza di sottolineare «come vi sia una profonda differenza tra le condizioni di lavoro degli autisti impegnati su tratte di lunga distanza e quelle degli autisti che operano a supporto dei servizi intermodali. Mentre i primi sono spesso impegnati in lunghi viaggi, che li obbligano a passare diversi giorni lontano dalla propria casa e dalla propria famiglia - sottolinea il documento - i secondi concludono solitamente la propria giornata rientrando alla base operativa e possono scegliere di non lavorare nel fine settimana. L'organizzazione del lavoro attorno ai centri intermodali permette inoltre di ridurre i tempi di attesa per la presa in consegna del carico di ritorno, utilizzare officine di fiducia per le riparazioni, e ridurre la necessità di effettuare soste e pasti lontano dal territorio di provenienza».


Tuttavia Contship ammette che se l'intermodalità può rappresentare un'alternativa, occorre però «guardare ai dati con realismo: la capacità del sistema ferroviario di assorbire nuovi volumi - spiega il documento - non è illimitata, e considerando il forte sbilanciamento dello split modale tra strada e ferrovia è facile intuire come sia impensabile trasferire direttamente una quota consistente dei traffici stradali su rotaia, senza massicci investimenti infrastrutturali, che richiedono ingenti risorse, tempi lunghi e consenso politico e sociale, per essere realizzati».


Altro fattore che pesa sull'autotrasporto italiano è quello dei costi del lavoro e di esercizio dei veicoli. «Dai dati elaborati da Hannibal, operatore multimodale del gruppo Contship Italia - spiega il documento - si scopre che il costo del salario degli autisti rappresenta la voce più rilevante, tra i costi di esercizio di un veicolo pesante, e supera di poco, in media, i 55.000 €/anno per autista, seguito dal costo del carburante (34.500 €/anno), dai pedaggi (13.000 €/anno), dai costi di ammortamento del mezzo (15.000 €/anno per la motrice, 2.700 €/anno per il semirimorchio), dai costi di riparazione e manutenzione (8.000 €/anno), dal costo degli pneumatici (4.000 €/anno), delle assicurazioni (6.500 €/anno) e delle tasse (1.500 €/anno)». Relativamente a costo del lavoro - specifica il White Paper - «persistono differenze sostanziali tra i vari Paesi; l'Italia è il secondo Paese, dopo il Belgio, dove il costo del lavoro è più alto, più del doppio di quanto si registra in Paesi come Bulgaria, Romania, Lituania, Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Slovenia».
Quanto al dumping sociale, il documento rileva che «dagli studi del CNR - Comité National Routier francese emerge come siano cambiate, negli ultimi anni, le pratiche dei carrier italiani, sempre più interessati ad assumere autisti stranieri, direttamente o attraverso le subsidiaries attive in Stati esteri; a tal proposito, resta significativa la sostanziale differenza nella remunerazione del lavoro, che arriva fino al 20%, tra autisti italiani e autisti stranieri impiegati con contratti italiani».


Inoltre il report evidenzia che «il costo del carburante, secondo costo di esercizio in ordine di rilevanza, rappresenta un ulteriore elemento di compressione dei margini degli operatori, anche in virtù degli aumenti di prezzo, registrati negli ultimi anni (+26% da gennaio 2016 a marzo 2019)». A questo si sommano i rincari del costo dei pedaggi: «nonostante il blocco degli aumenti 2019, attuato dal Ministero dei Trasporti sul 90% della rete autostradale italiana - precisa il White Paper -il trend degli ultimi 10 anni, tanto in Italia quanto in Europa, fa segnare tariffe in costante aumento. Dal gennaio 2019 si registrano aumenti rilevanti in Austria e in Germania, mentre in Francia si discute addirittura di una ecotassa aggiuntiva per i veicoli stranieri. Per i trasportatori italiani, impegnati nel trasporto internazionale, vanno considerati anche gli aumenti delle tariffe legate ai valichi di frontiera, come nel caso dei trafori del Monte Bianco e del Frejus (+2,73% dal 1° gennaio 2019) e dalle limitazioni imposte ai veicoli pesanti, come il blocco totale per i mezzi sopra le 7,5 tonnellate che non soddisfano lo standard Euro4, relativo ai due trafori italo-francesi appena citati, e la proposta austriaca di limitare ulteriormente il traffico commerciale transfrontaliero del Brennero, introducendo ulteriori limitazioni come il divieto notturno per le merci deperibili, e nuovi divieti settoriali, estesi anche ai veicoli Euro6».
Quanto alle possibili soluzioni per uscire dalla crisi, il documento osserva che, «dal punto di vista organizzativo, il consolidamento aziendale può permettere agli operatori più performanti di raggiungere la massa critica necessaria a rendere possibili gli investimenti utili ad ammodernare le flotte, sperimentare carburanti e sistemi di propulsione alternativi, come l'LNG e i motori elettrici, e nuovi modelli di trasporto, come il platooning, oltre all'ottimizzazione dei coefficienti di carico e alla riduzione dei percorsi a vuoto, che rimangono gli elementi di ottimizzazione più facilmente perseguibili nel breve periodo. Il nodo della questione - sottolinea il Libro Bianco - rimane però la necessità di ridistribuire il traffico pesante, limitando il più possibile le tratte di lunga distanza e sfruttando la flessibilità del vettore stradale per servire in maniera efficace la distribuzione di primo e ultimo miglio, migliorando al tempo stesso disponibilità, velocità e qualità dei servizi ferroviari intermodali, che rappresentano già oggi un'alternativa affidabile e sostenibile al trasporto tutto-strada, sulle principali direttrici nazionali ed internazionali».

 

 

Fonte: INFORMARE

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