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14 Feb 2019
«Includere la perdita delle tasse sulla benzina nell’analisi economica crea confusione quando non porta addirittura a risultati incoerenti». La versione dell’ingegner Pierluigi Coppola, il sesto incomodo della famosa commissione costi-benefici, l’unico membro non schierato storicamente contro la Tav, ribalta i risultati del documento commissionato da Danilo Toninelli, che seppellivano la futura linea dell’alta velocità sotto una montagna da sette miliardi di euro di costi.
A fare una «analisi corretta», parola del dissidente, professore di Trasporti a Roma-Tor Vergata, seguendo le linee guida dell’Unione europea, invece il saldo dell’opera è positivo, perché produrrebbe un valore attuale netto economico pari ad almeno 400 milioni, in un’ottica solo italiana. Con l’aumento già annunciato del cofinanziamento europeo, il valore positivo potrebbe salire di altri 500 milioni, senza contare il miliardo e mezzo che si risparmierebbe eliminando l’attraversamento della collina morenica nei pressi di Avigliana. Così si legge nello schema allegato alla contro-perizia, consegnata al ministro
Troppa grazia, e anche troppa divergenza tra i due studi. Da dove nasce questo squilibrio? «L’approccio convenzionale delle analisi costi-benefici e le linee guida comunitarie e nazionali» scrive Coppola, suggeriscono che le accise sui carburanti vengano escluse dal calcolo «perché costituiscono un trasferimento dal consumatore alle casse dello Stato, e non rappresentano risorse consumate». Il gruppo di lavoro presieduto da Marco Ponti invece le include, «creando effetti distorsivi» e annullando in parte il beneficio della realizzazione della nuova linea in termini di riduzione dei tempi di viaggio, dell’inquinamento, della congestione, del riscaldamento globale. Lo scostamento dalla metodologia ufficiale operato da Ponti «appare del tutto immotivato», e crea il paradosso per cui più crescita e più domanda finiscono per generare meno benefici netti.
Gli altri rilievi riguardano l’assenza di qualunque scenario che contempli la mancata realizzazione dell’opera e quindi i costi necessari per l’adeguamento della linea storica, comunque «non più rispondente alle esigenze del trasporto merci contemporaneo», quantificati nella relazione del gruppo di lavoro in 1.4-1.7 miliardi di euro «ma non compresi nel calcolo». O la Tav, o niente, afferma Coppola. «In assenza del tunnel di base è verosimile ipotizzare una progressiva scomparsa dei treni-merci lungo la tratta e un progressivo aumento dei trasporti dei volumi di traffico di autocarri e autoarticolati», con aumento dei costi di trasporto, inquinamento ambientale, e congestione stradale. Uno stop alla Tav verrebbe a creare «un tratto mancante nella rete ferroviaria europea» che «avrebbe conseguenze economiche per l’Italia e in particolare per tutte le regioni del nord, anche in termini di riduzione dei finanziamenti europei, oltre che di accessibilità e sviluppo». Le ultime contestazioni riguardano il metodo seguito da Ponti, che da un lato ha adottato la «regola della metà» per valutare il beneficio diretto per passeggeri e merci della Tav, e dall’altro ha stimato al ribasso il valore residuo dell’opera, calcolata in sessant’anni, quando, come insegnano proprio la vecchia linea e altri casi analoghi «si suggerisce invece di utilizzare un valore di vita utile di almeno 100 anni». Il pensiero di Coppola è chiaro. Ma il Galateo accademico non contempla l’attacco diretto.
Fonte: CORRIERE DELLA SERA