Cerca Aziende di:
14 Gen 2019
l risveglio del Nord ha il volto di Monica Giuliano, il sindaco di Vado Ligure, dove tra qualche mese aprirà una piattaforma logistica da 800 mila container. Con Genova e La Spezia formerà una catena logistica di impatto mondiale, «per questa ragione non possiamo rinunciare alla Tav; perderemmo la possibilità di diventare uno snodo centrale per il traffico delle merci». Oppure ha il volto di Giuseppe Pasini, il leader degli industriali bresciani, la prima provincia industriale d’Europa, un distretto con un Pil di 35 miliardi. «Negli ultimi anni abbiamo ottenuto risultati sopra la media grazie alle esportazioni, ma senza infrastrutture adeguate l’export non regge».
Il Nord che scende in piazza è un corpo trasversale e composito, che ingloba forze produttive, mondo delle professioni e sembra aver trovato nei sindaci il proprio coagulo istituzionale. In 114 erano sabato mattina a Torino, in molti di più stanno tessendo reti e alleanze che valicano le contrade di partito ma si assemblano nel nome della battaglia anti decrescita. Di questa reazione la Tav non è altro che un simbolo: «Negli ultimi decenni, nonostante le divisioni tra forze politiche, nessuno ha mai parlato di chiudere imprese o sabotare le infrastrutture», ragiona Alberto Avetta, presidente dell’Anci e leader dei sindaci piemontesi, uno degli ispiratori del documento pro Tav votato da 170 amministratori torinesi. «Sindaci e cittadini scendono in piazza perché sentono messi in discussione i pilastri della crescita e, con essi, il ruolo dell’Italia nel contesto internazionale. La direzione di marcia del Paese è confusa e questo preoccupa un po’ tutti».
All’angolo opposto della Pianura Padana c’è Claudio Cicero, assessore alle Infrastrutture di Vicenza, inviato dal sindaco Rucco in piazza Castello. Vicenza dal 2000 si batte per essere inserita nei tracciati dell’alta velocità, sulla linea Verona-Padova. «Siamo la terza provincia industrializzata d’Italia, rappresentiamo un Paese che non solo vuole, ma ha bisogno di infrastrutture. Siamo già in ritardo di decenni sul sistema della mobilità veloce, non c’è tempo. Ce lo chiedono gli imprenditori e i cittadini: perdere questo treno significa essere fuori dall’Europa».
Questo universo trasversale ha sempre sopportato a fatica la lentezza con cui il Paese si ammodernava, la burocrazia che rallentava le opere e la corruzione che le viziava. Ma ora c’è un senso d’urgenza, la volontà di contrastare un modello opposto secondo cui piccolo è bello e più sicuro. «Il concetto di decrescita, che è molto grillino, ci spaventa e questa reazione credo vada ben oltre il Nord», spiega il sindaco leghista di Novara Alessandro Canelli. «È emersa qui perché è in atto la battaglia sulla Tav». Novara si trova all’intersezione del corridoio Genova-Rotterdam e dell’asse Torino-Trieste, è accanto all’aeroporto di Malpensa e sede di un importante polo logistico. «Dire quanto i collegamenti siano importanti per un’area come questa è quasi superfluo», dice Canelli. Eppure i novaresi aspettano dal 2004 investimenti per 600 milioni sulle infrastrutture, ferroviarie e non solo. «Le imprese ci chiedono poca burocrazia, meno tasse e investimenti sulle reti di trasporto, e per noi (intende noi della Lega, ndr) è geneticamente innaturale non considerare queste istanze».
Le imprese chiedono anche di non sottoporre il sistema produttivo a continui stress. L’asse di alta velocità Padova-Verona dovrebbe congiungersi alla Verona-Brescia il cui destino è nelle mani dell’analisi costi-benefici del professor Ponti. Come per la Torino-Lione, la bocciatura sembra cosa fatta. «Non voglio nemmeno pensarci», dice Pasini. «Per di più il rischio è che d’ora in avanti per qualsiasi infrastruttura si debba passare dai costi-benefici, il che significa aggiungere ulteriori ritardi a quelli già provocati dalle lentezze burocratiche e dai ricorsi sugli appalti».
L’ex sottosegretario Mino Giachino, uno degli organizzatori delle due manifestazioni di Torino, tira le somme di quest’alleanza, molto pragmatica, che percorre il Nord: «Le macchine utensili, di cui siamo leader nel mondo, il made in Italy, i prodotti dell’enogastronomia, possono essere trasportati solo da un sistema di infrastrutture e logistica competitivi. Stesso discorso se aspiriamo a crescere nel turismo». È in nome di questo modello che i sindaci vanno in piazza, diventando protagonisti di una mobilitazione che vede nascere comitati per il Sì (alle opere, allo sviluppo, alla crescita) un po’ ovunque. Un fronte che fa da contraltare istituzionale al governo. Anzi, a una delle sue due anime.
Fonte: LA STAMPA