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05 Nov 2018
«Una bobina d’acciaio avrebbe fatto crollare il ponte Morandi? Si sta facendo disinformazione. In 45 anni di attività abbiamo trasportato milioni e milioni di chili di coils, le bobine di semilavorati per l’industria siderurgica. E non abbiamo mai avuto problemi». Si difende Silvio Mazzarello, uno dei titolari della ditta di autotrasporti Mcm di Novi Ligure, tornata al centro della cronaca in seguito a una singolare «ipotesi -accusa», espressa l’altro giorno dall’ingegner Agostino Marioni, sentito come teste in procura a Genova dal pubblico ministero Massimo Terrile, che sta conducendo l’inchiesta.
Secondo la tesi dell’ingegnere, due Tir della Mcm che erano passati a breve distanza l’uno dall’altro, potrebbero aver innescato o addirittura determinato, in un certo qual modo, il crollo del ponte Morandi dove persero la vita 43 persone.
Sotto la lente d’ingrandimento finisce la presunta caduta di una bobina d’acciaio da un rimorchio. Se ciò fosse avvenuto, la perdita del carico avrebbe riguardato il secondo mezzo della ditta novese che seguiva il primo a breve distanza. La Mcm, però, smentisce categoricamente questa eventualità e giustifica le proprie ragioni.
La mattina piovosa del 14 agosto, sul ponte genovese transitarono in effetti due Tir della Mcm Autotrasporti. Entrambi erano partiti dallo stabilimento Ilva di Genova, dopo aver caricato i coils d’acciaio destinati all’impianto di Novi, in strada Bosco Marengo. Il primo dei due Tir riuscì ad attraversare il ponte senza problemi. Ma mentre transitava il secondo mezzo pesante, ci fu il crollo. Lo stesso Tir venne risucchiato dal viadotto che sprofondava, precipitando per oltre 40 metri. Il conducente, il tortonese Giancarlo Lorenzetto, ne uscì miracolosamente illeso. Tutta la vicenda potrebbe avere altre motivazioni di tipo fisico-strutturale. Non ultima, quella dell’usura degli stralli, dei rinforzi in genere e quindi della scarsa manutenzione dell’infrastruttura viaria, edificata circa 50 anni fa. Come si è sostenuto in questi mesi da più parti.
«La bobina si trovava ancora sul semirimorchio, nel proprio alloggiamento, quando il Tir è finito sotto il ponte Morandi. Lo si capisce da come si è deformata e dallo stato del mezzo - prosegue la difesa di Mazzarello che ribadisce la completa estraneità dell’ azienda nella tragedia -. Tutto è comunque documentato dalle foto della polizia».
La difesa quindi collide con la tesi dell’ingegner Marioni, ex presidente della ditta che nel 1993 eseguì opere di rinforzo sul ponte, in particolare della pila 11. Ora si è in attesa degli esiti delle perizie eseguite dagli esperti, concentrate appunto anche sugli interventi di rinforzo effettuati nel corso degli anni.
Fonte: LA STAMPA