I primi risultati di Belt and Road (BRI, la Nuova Via della Seta), l’iniziativa lanciata dal presidente cinese, Xi Jinping, nel 2013 per creare nuove connessioni infrastrutturali via terra e via mare tra Cina e Europa, confermano che si tratta di un grande piano geo-economico, condiviso e inclusivo, destinato a trasformare l’Eurasia: 900 progetti di nuove infrastrutture, quasi 1000 miliardi di investimenti, 780 miliardi di dollari generati dagli interscambi con i 60 paesi coinvolti, 200 mila nuovi posti di lavoro.
Attenzione, questo mastodontico progetto che tocca due terzi della popolazione mondiale “non ha solo una forte componente infrastrutturale ma esprime la proiezione internazionale e la vocazione globale della Cina”, ha detto Sequi. “Pechino ha tradizionalmente una visione lunga, ma che sta diventandosempre più ampia – ha sottolineato -. BRI si conferma come elemento centrale del cambiamento storico che la Cina sta vivendo nel quadro di una progressiva apertura su tutti i fronti”.
In questa intervista all’Agi Ettore Sequi fa il punto sulle concrete opportunità per l’Italia con la Nuova Via della Seta, offre un primo bilancio a cinque dal lancio dell'iniziativa e a quasi un anno dal Forum di maggio scorso, che ha visto l'Italia entrare a pieno titolo nel progetto, e delinea prospettive future.
L’Italia è uno dei partner commerciali più importanti della Cina all’interno dell'Unione Europea, l’export è cresciuto del 25% nel 2017. Quali sono le opportunità che si aprono per l’Italia con la Nuova Via della Seta?
Ce lo siamo chiesti al quarto raduno degli imprenditori italiani in Cina, a Yanqi Lake, a nord di Pechino. L’iniziativa Belt and Road, oltre ad avere una fortissima componente infrastrutturale, delinea la proiezione internazionale di Pechino. Ne è prova l’enfasi con cui Xi Jinping, nel suo rapporto al diciannovesimo Congresso del Pcc nell’ottobre scorso, ha più volte evocato il progetto, che è stato inserito nello statuto del Partito come strumento di crescita globale e di cooperazione internazionale. Il presidente cinese lo ha menzionato anche nel suo discorso di fine anno. Bri si conferma come l’elemento centrale del cambiamento storico che la Cina sta vivendo nel quadro di una progressiva apertura in tutti i fronti. Pechino ha tradizionalmente una visione sul mondo lunga, ma che sta diventando sempre più ampia.
Diamo qualche numero
Stando ai dati ufficiali cinesi, l’interscambio tra Cina e i Paesi attraversati dalla Nuova Via della Seta ha superato i 400 miliardi di dollari dal 2014 al 2017. Solo lo scorso anno ha oltrepassato quota 110 miliardi di dollari, in pratica un quarto del commercio estero cinese. Secondo le previsioni del presidente di Bank of China, Chen Siqing, nei prossimi 5 anni il 45% della crescita mondiale proverrà dai mercati interessati dai progetti targati Bri. Le basta?
L’Italia come si posiziona in questo quadro?
E’ un processo irreversibile che andrà avanti con o senza di noi. Come si faranno i bandi internazionali? Che tipo di regole si applicheranno? Oggi si stanno definendo le regole del gioco, abbiamo tutto l’interesse a entrare nel progetto in questa fase. Le recenti visite istituzionali, dal presidente Mattarella con i ministri Alfano e Delrio nel febbraio dello scorso anno, a Paolo Gentiloni come unico leader G7 presente al Forum di Pechino del maggio scorso, hanno dato un forte impulso alla nostra partecipazione. Abbiamo garantito all’Italia l’ingresso a pieno titolo nell'iniziativa.
Perché i cinesi dovrebbero investire nei nostri porti?
Abbiamo tutto l’interesse a valorizzare il nostro sistema portuale. Anche in questo caso basta snocciolare alcune numeri per capire la dimensione del fenomeno. Il 90% dei traffici tra Cina ed Europa passa lungo la Via della Seta marittima. Un terzo del volume mondiale di container transita attraverso i porti della Cina, che detiene i due terzi dei maggiori porti mondiali. Stando ai dati elaborati da Deloitte, la Cina nel 2016 ha investito 20 miliardi di dollari nei porti stranieri, il doppio rispetto al 2015. Risultato? I cinesi partecipano alla gestione di circa 80 porti in tutto il mondo. Nel Mediteranno il numero di navi porta container è cresciuto negli ultimi 5 anni del 20%. A questo si è arrivati grazie al raddoppio del Canale di Suez, al flusso di investimenti nei porti stranieri, e al fenomeno del gigantismo navale (maggiore capienza dei portacontainer).
L’Italia è dunque in una posizione strategica...
I flussi si dirigono nel Mediterraneo, specificamente nell’aerea denominata MENA (Middle East and North Africa, una regione che include circa 22 Paesi). Si calcola che in questa area tra il 2001 e il 2015 il flusso commerciale si sia decuplicato, e nello stesso periodo i volumi di traffico nel Canale di Suez siano aumentai del 124% . Oltre alla possibilità di intercettare commerci, nessun Paese più dell’Italia ha interesse a puntare sullo sviluppo economico e alla stabilità di aree quali MENA, Africa e Mediterraneo.
Il surriscaldamento globale spingerà i cinesi a usare la rotta artica per raggiungere il Nord Europa (il governo cinese ha pubblicato la settimana scorso il Libro Bianco sulla via della seta polare), e secondo una ricerca danese il Mediterraneo rischia di perdere centralità…
Speriamo che i cinesi, che hanno ribadito l’impegno nella lotta al cambiamento climatico e molto stanno investendo in questo campo, aiutino piuttosto a ritardare lo scioglimento dei ghiacci…
Torniamo ai porti italiani
La portualità italiana ha una importanza potenzialmente enorme, è ovvio…
Cosco ha investito nel Pireo. Ci spieghi meglio
È vero: i cinesi hanno fatto forti investimenti nel porto greco, ma il governo italiano non considera il Pireo in contrasto con l’offerta dei nostri porti, anzi, sono complementari.
Perché?
Non solo perché abbiamo acquistato le ferrovie greche e lo sviluppo di flussi commerciali ci fa comodo. Dal Pireo per arrivare all’Europa centrale e occidentale, bisogna costruire infrastrutture che hanno un costo elevato e che attraversano una serie di Paesi, alcuni di questi europei con precise regole di procurement (la linea ferroviaria Belgrado-Budapest al momento ferma e in fase di revisione per presunte irregolarità rispetto alle normative dell’Unione Europea, ndr). Noi invece abbiamo un sistema portuale efficace, con procedure di sdoganamento tra le più veloci in Europa, e siamo più vicini al centro Europa. Sia il sistema dell’Alto Adriatico che dell’Alto Tirreno hanno interconnessioni ferroviarie già pronte ed efficaci da mettere a disposizione dei cinesi.
Ferrovia e porti servono mercati diversi…
Esatto, non sono in competizione. Partiamo dai volumi di traffico. L’Ocse prevede che nel 2030 trasporti ferroviari tra Asia ed Europa saranno in grado di movimentare non più di un milione di container all’anno, una cifra che impallidisce se raffrontata ai 20 milioni che già oggi potenzialmente transitano via nave. Secondo dati elaborati dall’Ambasciata, dei 12 milioni di container da 20 teu che nel 2016 hanno viaggiato tra Cina ed Europa, solo una parte limitata può essere trasportata su strada ferrata.
Qual è il vantaggio di spedire le merci via treno?
La ferrovia è più veloce della nave (si risparmiano circa 40 giorni di viaggio). Il 17 dicembre è arrivato a Chengdu il primo treno merci partito dal polo logistico di Mortara. Trasportava macchinari, componenti, prodotti di metallo, mobili, piastrelle, automobili. Il treno è un’ottima opzione per i prodotti deperibili, come quelli alimentari (la compagnia logistica Changjiu Group ha detto che si doterà presto di container refrigerati, ndr) o che hanno tempi di consegna ridotti, come la moda. Abbiamo interesse a sviluppare questo segmento. A Yanqi lake è stato firmato un importante accordo tra Italferf e il colosso statale China Railway Signal & Communication per una collaborazione nei paesi terzi. Un tema di cui hanno parlato il 12 dicembre scorso a Roma il ministro Calenda e il vice Primo Ministro Ma Kai, il quale ha confermato l’interesse della Cina a rafforzare il rapporto bilaterale nel quadro Bri, a partire da specifiche intese per la realizzazione di progetti in paesi terzi. Un aspetto delle relazioni bilaterali passato in rassegna anche dal ministro degli Esteri Alfano e l’omologo cinese Wang Yi alla ottava riunione del comitato governativo Italia-Cina a Pechino. Questo è importante perché significa che abbiamo anche noi una visione ampia.
Di quali paesi terzi parliamo?
Africa, Balcani, e America Latina. L’ accordo di Italferr, ad esempio, è ideale per lo sviluppo di progetti nei Balcani. Sono molte le aziende italiane interessate a investire in progetti infrastrutturali, e sfruttare le opportunità che derivano dai progetti Bri, come emerso dalla tavola rotonda organizzata il 26 gennaio dal MEF e da Confindustria a cui hanno preso parte anche il ministro Padoan e Jin Liqun il Presidente dell'Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB, uno dei bracci finanziari di Bri di cui l’Italia è azionista).
Mattarella, Delrio, Alfano (visita di stato a febbraio), Gentiloni (maggio), Calenda (dicembre), Scalfarotto (dieci missioni solo l’anno scorso). Diciamo la verità: la diplomazia ha giocato un ruolo decisivo nello sviluppo del business, abbiamo imparato a fare sistema.
A Pechino abbiamo un caso unico in tutta la rete diplomatica: un funzionario del ministero dell’Economia e delle Finanze incardinato presso l’Ambasciata con il compito di raccordarsi con l’Aiib, favorire i contatti con le nostre imprese, e un bravissima diplomatica che lavora a tempo pieno sui trasporti e i progetti che riguardano la collaborazione in paesi terzi.
Non si parla invece mai del trasporto aereo
Non è ancora sviluppato come dovrebbe. I cinesi vogliono trovare il mix ideale in termini di tempi, costi e quantità tra ferrovia e cargo. Più aumenta la connettività, maggiore il numero di merci che per tempistica ha più senso far volare. Bri può contribuire a migliorar la connettività digitale con lo sviluppo dell’e-commerce che favorisce una serie di servizi, come l’e-banking. Non a caso si parla già di una via della seta digitale.
Per oggi di concreto c’è il 40% di Cosco a Vado Ligure
Abbiamo fatto grandi passi avanti definendo la proposta globale della nostra portualità. Ora dobbiamo tradurre l’input politico in un output concreto. Tenendo presente che Bri da un lato consentirà l’espansione del commercio attraverso migliori infrastrutture tra Paesi che sono già partner commerciali, dall’altro svilupperà anche altre rotte liberando potenzialità inespresse. Non solo porti e ferrovie: un aspetto importante riguarda le infrastrutture istituzionali, ovvero tempi di sdoganamento, regolamenti più standardizzati, e così via. La Via della Seta dà una spinta generale a essere più efficienti, più veloci. Ed è con la carta dell’efficienza che si gioca la partita della connettività e dell’integrazione eurasiatica.