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08 Gen 2018
Un’azienda bresciana di autotrasporto ha dovuto chiudere per non essere riuscita a recuperare i crediti vantati con l’Ilva, altre hanno dovuto fare ricorso al concordato, alcune sono «sopravvissute». Di fatto nella crisi che ha colpito l’impianto siderurgico tarantino sono ancora coinvolti una trentina di vettori bresciani che ormai da quattro anni attendono di veder saldati i loro crediti. E si tratta di milioni di euro. A nulla sono valsi anche gli incontri con i commissari a cui è stata affidata la gestione dell’impianto che hanno ricordato come prima di poter pagare dovranno incassare per la vendita del principale sito siderurgico italiano al consorzio guidato da Arcelor – Mittal. Un passaggio che rischia di dover essere ridiscusso per il ricorso al Tar presentato dalla regione Puglia e dal sindaco di Taranto sui tempi di realizzo degli interventi del piano ambientale. Ad inizio 2015 (decreto Ilva) un risultato però gli autotrasportatori bresciani lo avevano ottenuto venendo riconosciuti come creditori privilegiati. Salvo poi tornare, con una sentenza del Tar di Milano del giugno 2017, ad essere non privilegiati. In agosto veniva ribadita invece la pre deducibilità dei crediti e a settembre il nuovo passo indietro.
Non solo Ilva: il rincaro dei pedaggi
«Un caos – ha commentato Giuseppina Mussetola della Federazione autotrasportatori di Brescia, – che di fatto si traduce in ulteriori attese e ulteriori costi». Ed è proprio la pagina delle “uscite” dei libri contabili delle imprese che preoccupano i camionisti. «Siamo furibondi. Il 2018 è iniziato con aumenti dei pedaggi autostradali che per le aziende che fanno trasporti dal Piemonte al Friuli arrivano anche al 25-30%. Per la tratta Brescia – Torino, ad esempio, si è raggiunto il 52%», segnala la Mussetola. «Non ci aspettavamo di certo l’aumento del 4,69% della A35 Brebemi, anche se compensato dallo sconto del 20% che Brebemi si è impegnata ad assicurare per tutto il 2018. Purtroppo il pedaggio dell’A35 era già altamente al di sopra delle altre concessionarie, quindi sarebbe stato più opportuno non applicare nessun aumento». Tutti costi che in tempi di crisi e di concorrenza spietata è difficile trasferire sui committenti e che rischiano di mandare in tilt i bilanci già traballanti di questi ultimi anni. «Gli autotrasportatori non hanno percorsi alternativi all’autostrada: i paesi sono interdetti al traffico dei veicoli pesanti così come alcuni tratti delle tangenziali e le rotatorie, per le inclinazioni delle strade, non agevolano le manovre».
Il nodo degli incidenti
E poi ci sono gli incidenti. «Per quello che è successo sulla A21 – ha concluso Giuseppina Mussetola - abbiamo già inviato una lettera al prefetto per verificare se ci possono essere responsabilità anche da parte del committente. Non è raro infatti che ci vengano imposti tempi di consegna molto ristretti dovuti ad una approssimativa logistica di chi ci incarica dei viaggi. Aspettiamo per ore di veder caricati i nostri camion e poi ci chiedono di consegnare velocemente. Abbiamo regole precise per le ore di guida alternate a quelle di riposo e le rispettiamo. Se i committenti avessero obblighi simili, gli autotrasportatori potrebbero organizzare meglio il proprio lavoro e si potrebbero ulteriormente ridurre i rischi di incidenti».