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10 Mag 2017
La politica dei trasporti è un sistema, termine che, vocabolario alla mano, significa “insieme di elementi coordinati tra loro in una unità funzionale“. Poche parole ma più che sufficienti a far comprendere come senza coordinamento non esista sistema e come senza quest’ultimo non possa esserci funzionalità. In altre parole, se l’Italia non imparerà, e subito, a fare sistema nei trasporti non potrà esserci speranza di far ripartire il Paese, il lavoro, l’economia. E nessuno, a meno che non voglia passare per un totale incapace, potrà venire a parlarci di ripresa senza sistema. Concetti, spiegati in più occasioni e in modo chiaro da Conftrasporto, che non dovrebbero essere difficili da comprendere e fare propri. Cosa che purtroppo non è avvenuta. Qualche timida risposta è giunta per il sistema portuale, con una soluzione che però è la risultante di mediazioni.
Sarebbero bastate cinque Autorità portuali per varare un piano serio: invece sono, per ora, 15. Chiaro sintomo che la politica, a cui spettano le scelte, non ha ancora capito come la logistica e i trasporti non debbano essere lasciati alle realtà locali e che solo invertendo la rotta si potrà dare competitività all’intero sistema Paese.
Conftrasporto lo ha ribadito anche in un momento importante per il futuro del Paese, alla vigilia del referendum: la scelta se riassegnare allo Stato i poteri decisionali sul sistema infrastrutturale e dei trasporti se posto come quesito singolo avrebbe avuto il parere favorevole degli italiani. Lo sostenevano anche eminenti giuristi, ma anche le loro parole sono rimaste lettera morta. Il risultato è che oggi abbiamo una logistica portuale con ancora troppe Autorità e con tavoli di partnernariato che vengono gestiti dai nuovi presidenti in modo non univoco, per esempio nella scelta dei rappresentanti, e questo anche perché non è stato ancora, così come previsto, istituito il coordinamento nazionale. Nel sistema marittimo il Parlamento ha approvato una legge per mettere ordine nel trasporto di merci e contrastare possibili situazioni di concorrenza sleale, così come avviene parallelamente nell’autotrasporto. Eliminare scompensi sia per i lavoratori sia per gli stessi operatori è un dovere.
Conftrasporto, che conduce la battaglia contro le forme di abusivismo e per il rispetto delle regole, sia su terra sia in mare, e che ne ha fatto l’elemento centrale della sua politica, ritiene che si debbano portare negli organismi comunitari a tutti i livelli questi principi, applicando le leggi in vigore. Aver sottoscritto a Parigi un documento denominato “Alleanza per la tutela del trasporto su gomma” e poi non introdurre quello che già altri Paesi hanno attuato (in Francia la legge porta il nome del neo eletto capo dello Stato, legge Macron), non aiuta certo né gli imprenditori né i lavoratori. E spostandoci dalla terra e dal mare vero il cielo, anche il caso Alitalia dimostra con tutta evidenza quanto sia necessario, pur senza dar vita a una compagnia di Stato, un coordinamento. Nel 2003 venne costituita la Consulta dei trasporti e della logistica: un’intuizione che rispondeva alle diverse esigenze di un’unica “regia”. Il presidente del Consiglio Mario Monti, commettendo un evidente sbaglio, la abrogò. Quell’organismo avrebbe consentito alle forze economiche che avevano sottoscritto un “Patto” di presentare al ministero, depositario del potere di scelta, suggerimenti frutto delle esperienze delle rappresentanze sociali. Quattordici anni dopo ci ritroviamo al punto di partenza: perché allora non ripartire da lì?
Paolo Uggè, presidente di Fai Conftrasporto e vicepresidente di Confcommercio