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27 Feb 2017

Camionisti costretti a barare sui km

CAMION_TACHIGRAFO_MILANO

 

Il titolare imponeva loro di bloccare i tachigrafi con un magnete.

 

Milano, 27 febbraio 2017 - Incastrato dai gps installati di nascosto dalla polizia su due tir. È così che gli inquirenti hanno avuto la riprova che gli automezzi usavano piccoli magneti per bloccare i tachigrafi digitali. Ufficialmente i camion risultavano fermi, ma i segnali rilanciati dai gps dimostravano esattamente il contrario. È stato condannato per questo a due anni di reclusione Gian Paolo Vercesi, titolare di un’impresa di autotrasporti dell’hinterlnd, tra Pozzuolo Martesana e Vignate: perché secondo il pm Maura Ripamonti costringeva i propri autisti a infilare i magneti al posto giusto, anche minacciandoli di licenziamento nel caso si fossero rifiutati. A denunciare il trucco delle calamite («caramelle» le chiamavano in ditta) furono alcuni degli autisti, difesi dall’avvocato Attilio Giulio, dopo essersi dimessi e aver trovato un altro impiego. Non ce l’avevano fatta a rimanere alla guida molte ore in più di quelle ammesse dalla legge. «Noi eravamo degli assassini – mise a verbale uno degli autisti – eravamo delle bombe vaganti perché non si può dormire due ore a notte (...) Neanche un ragazzo di vent’anni lo può fare, a meno che non prenda delle sostanze stupefacenti».

 

Grazie alla truffa delle «caramelle», gli addetti alla guida finivano per restare dentro ai camion anche fino a venti ore, con turni massacranti. Una sorta di ricatto per poter usare il tir quando tornavano nei paesi e nelle città dove abitavano, a fine settimana. Altrimenti avrebbero dovuto pagarsi un albergo o un letto magari a mille chilometri di distanza da casa. O infilavano i magneti nel motore, o niente. «Violenza privata», ha stabilito il giudice Emanuela Rossi. «Vercesi prospettava in modo preciso e chiaro che in caso di mancato adempimento delle consegne nei tempi stabiliti (e a turni “bloccati” grazie ai magneti, ndr.) essi non avrebbero potuto ottenere i viaggi verso casa (...) La forza intimidatoria del male prospettato - scrive il giudice nelle motivazioni - era acuita dagli atteggiamenti tenuti proprio dal Vercesi nei confronti di quegli autisti che non avevano adempiuto alle sue richieste (...) Pertanto le minacce in tali casi risultavano efficaci nell’indurre e obbligare gli autisti minacciati ad applicare le calamite e sostanzialmente a non rispettare gli orari di riposo imposti dalla normativa».

 

Nel processo, l’imprenditore si era difeso negando che le «caramelle» venissero imposte dall’azienda e scaricando la responsabilità sugli autisti. Versione che però non ha convinto affatto il tribunale. Vercesi, fra l’altro, per le stesse vicende dovrà affrontare a breve un altro processo con l’accusa (che in un primo tempo era caduta) di aver dolosamente rimosso strumenti destinati a prevenire «disastri o infortuni sul lavoro».

 

 

Fonte: IL GIORNO

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