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09 Nov 2015

Porti - Delrio: ''Genova e Savona unite così nascerà il porto d'Italia''

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''Il presidente? Lo scelgo io.''

 

Ridurre il numero delle autorità portuali, razionalizzarne la governance, coordinare centralmente gli investimenti, sburocratizzare le banchine costrette oggi a passare attraverso 113 procedimenti amministrativi di 23 differenti soggetti pubblici. La ricetta del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio per rilanciare i porti italiani è tutto sommato semplice, anche se la sua portata appare rivoluzionaria. Non a caso nel paese dei mille campanili è già partito il tentativo di frenare la riforma, alzando barricate ai piani di riduzione degli enti portuali, oggi 24, destinati a non essere più di 14. Si procederà con accorpamenti, facendo nascere le nuove autorità di sistema. «E se qualcuno perderà una poltrona pazienza – spiega il ministro in questa intervista – Noi mettiamo il sistema Italia nelle condizioni di non perdere la sfida della competitività, perché proprio questo sta avvenendo».

Il ministro snocciola una raffica di numeri. «Mentre i primi trenta porti del mondo, dal 2009 al 2014, hanno triplicato il numero dei loro container, noi abbiamo perso il 7% di merci. Abbiamo perso anche passeggeri, se si escludono le crociere, e siamo al cinquantacinquesimo posto nella graduatoria mondiale delle infrastrutture».



Non ci dovrebbero opposizioni al suo progetto di riforma, ministro Delrio. E invece?
«Invece qualcuno tenta di far passare il concetto che io intenda portare confusione in un sistema perfetto. Non è così e lo dimostrano i numeri. La verità è che noi siamo bravi a farci la guerra, ma lo siamo molto meno se si tratta di ragionare su come competere con i grandi porti del Nord Europa e del Sud del Mediterraneo».



Lei crede di aver trovato la formula giusta?
«Io credo nel lavoro che stiamo facendo. Abbiamo predisposto un piano della logistica e della portualità che è già stato approvato dal consiglio dei ministri ed è quindi operativo. Dentro ha disposizioni precise per realizzare gli obiettivi che ci siamo proposti e che si tradurranno in un decreto legge che arriverà presto al consiglio dei ministri».


Il filo conduttore?
«La centralità del mare e una logistica efficiente per lo sviluppo del nostro Paese».



Non è la prima volta che se ne parla...
«Vero, parole se ne sono fatte tante, ora proviamo a vedere di passare ai fatti. Perché le inefficienze sulla logistica ci costano 40 miliardi l'anno, come tre finanziarie. Per questo dobbiamo essere in grado di cambiare, non solo dal punto di vista delle parole, i nostri porti».


Facendoli diventare?
«Piattaforme logistiche che offrono al mercato un'offerta integrata fra porti, interporti e grandi corridoi europei. Se ragioniamo in una logica di sistema allora crescono anche i singoli porti. Già oggi il cluster marittimo vale il 15% di Pil, ma i margini di crescita sono notevoli. Ma bisogna imporre una svolta, perché i concorrenti non stanno a guardare. Se Trieste fa la guerra a Venezia, crescono i porti della Slovenia».



Ma da che cosa si può iniziare?
«Sicuramente dalla semplificazione delle procedure amministrative. E per farlo non procederemo con leggi, ma con atti amministrativi quali lo sdoganamento delle merci fuori dal porto e la riduzione dei tempi doganali. Abbiamo 113 procedimenti amministrativi e 23 soggetti pubblici in campo. Ovvio che questo crei rallentamenti nell'efficienza. Voglio arrivare a un solo sportello, dobbiamo sburocratizzare i porti, rendere più snelle le pratiche, anche in campo ambientale».



I porti sono spazi molto delicati dal punto di vista ambientale.
«Non stiamo pensando a scorciatoie, ma a velocizzare atti che oggi richiedono un tempo troppo dilatato. Col ministero dell'Ambiente, ad esempio, stiamo discutendo su dragaggi e bonifiche. Il ragionamento è semplice, ci sono regole europee che devono valere per tutti. Se a Rotterdam bastano quattro mesi, dev'essere lo stesso anche per noi».



E per rendere la logistica più efficiente?
«Non abbiamo alternative al treno. Impensabile immaginare una crescita del traffico portuale caricata tutta sull'autotrasporto. Per questo daremo maggiori investimenti a Rfi e lavoreremo sull'ultimo miglio ferroviario nei porti. Abbiamo già dei modelli virtuosi, da questo punto di vista, come il porto della Spezia».

Gli ostacoli maggiori, però, li avrà con la riduzione delle authority e la razionalizzazione della governance.

«Abbiamo già esempi di buone pratiche, come Livorno e Piombino, che stanno ragionando insieme in un'ottica futura. Ma deve passare in Italia una logica condivisa che punti ad avere regole comuni per tutti su concessioni, attracchi, organizzazione del lavoro. Il nuovo sistema poggia su aree logistiche integrate. Da questo punto di vista la Liguria ha già un vantaggio competitivo e pazienza se ci saranno dei mal di pancia di qualcuno che perde il posto».



Ma qual è il futuro della Liguria?
«Fra Genova e Savona nascerà un'autorità di sistema ligure occidentale che proseguirà lungo il corridoio Reno-Alpi. La Liguria dovrebbe discutere di questo, a eccezione della Spezia, che si muove su un altro corridoio, il Tirreno-Brennero. Invece di alzare barricate, si dovrebbe pensare al fatto che il governo sta mettendo 6,2 miliardi sul terzo valico, proprio per inserire l'autorità della Liguria occidentale su un corridoio multimodale che ne fa la porta d'ingresso del Sud Europa e il porto più importante d'Italia. Invece stiamo a discutere di un posto in meno, quando fra Genova e Savona sono distanti 30-40 chilometri». Leggi tutta la notizia

 

 

Fonte: REPUBBLICA

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