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L'autista del trasporto merci non un trasfertista

L’autista del trasporto merci non un trasfertista

La definitiva conferma arriva dalla Cassazione a Sezioni Riunite.

Com’è noto quale debba essere il trattamento fiscale delle somme riconosciute al lavoratore che si rechi in trasferta ha fatto oggetto di numerose discussioni ed anche a differenziate Sentenze, ora finalmente risolte grazie ad una Sentenza della Corte di Cassazione presa a Sezioni Riunite.

La questione è di assoluta rilevanza per il nostro settore, in cui il dipendente autista si trova ad operare quasi continuamente al di fuori del proprio abituale posto di lavoro.

Ricordiamo a tal proposito che per essere definita trasferta l’assenza dall’abituale posto di lavoro deve perdurare per almeno 6 ore e deve svolgersi al di fuori del territorio in cui ha sede il posto di lavoro stesso.

La discussione riguardava le condizioni in base alle quali fosse legittimo applicare alle somme erogate il regime di vantaggio previsto dal comma 5 dell’art. 51 del TUIR che prevede che tali somme diventano imponibili solo ove superino gli importi previsti da quest’ultima norma (€.46,48 al giorno, elevate a € 77,47 per le trasferte all’estero) e comunque soltanto limitatamente alla parte eccedente.

La parola fine alla diatriba sembrava essere stata messa grazie all’art. 7 quinquies del D.L. 193/2016, convertito con la legge 225/2016 che si è posta come norma di interpretazione autentica del dettato del TUIR e come tale determinante per la applicazione di uno o l’altro dei regimi fiscali previsti.

A tal fine la norma ha indicato alcuni criteri univoci per l’inquadramento delle somme erogate ai lavoratori in trasferta nell’ambito del regime fiscale e contributivo previsto per i cd trasfertisti (comma 6, art. 51 del TUIR, che prevede la tassazione nella misura del 50% dell’ammontare), anziché in quello più favorevole stabilito per le indennità di trasferta (comma 5, art. 51 del TUIR):

1. la mancata indicazione nel contratto e/o lettera di assunzione della sede di lavoro;

2. lo svolgimento di un’attività lavorativa che richiede la continua mobilità del dipendente;

3. la corresponsione al dipendente, in relazione allo svolgimento dell’attività lavorativa in luoghi variabili e diversi, di una indennità o maggiorazione di retribuzione in misura fissa, attribuiti senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove la stessa si è svolta.

Essi, tuttavia, ha stabilito la norma, debbono essere tutti contestualmente presenti.

Dunque la mancanza, anche di una sola di queste condizioni, determina l’inapplicabilità del regime dei trasferisti abituali, a vantaggio di quello previsto per le indennità di trasferta dal comma 5 dell’art. 51 del TUIR.

E’ del tutto evidente che, per quanto riguarda l’autotrasporto, la condizione di cui al punto c) non ricorre in alcun modo, in quanto il lavoratore otterrà la corresponsione di una indennità variabile, distinta in base al numero di ore passate in trasferta e comunque risulta collegata in modo assoluto alla concreta ed effettiva effettuazione della trasferta. Infatti verrà pagata solo per i giorni (o le ore) di effettiva assenza del lavoratore dal luogo di lavoro abituale.

Nonostante si trattasse di una “norma di interpretazione autentica” approvata dal Parlamento e, come tale, definitiva, e nonostante la assoluta chiarezza del suo contenuto, la sua portata retroattiva era stata messa in dubbio da alcune pronunce successive di diverse Sezioni della Cassazione.

Per questo va salutata con soddisfazione la decisione della Suprema Corte, questa volta a Sezioni Riunite, che alleghiamo.

Ora davvero la questione si può dire definitivamente risolta.

Fonte: ASSOTIR

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