La Repubblica edizione di Bologna ha recentemente dedicato un approfondimento al tema delle infiltrazioni malavitose nel mondo dell’autotrasporto intervistando il nostro presidente Cinzia Franchini.
Qui di seguito riportiamo il testo integrale dell’intervista.
Cinzia che si mise al volante per amore e dal camion sfidò tutte le mafie d’Italia
VALERIO VARESI
CORRONO veloci, sfuggono ai controlli, possono trasportare droga o armi: i camion fanno gola alle mafie. Lo sa bene Cinzia Franchini, modenese, 39 anni, la più giovane presidente nazionale della Fita Cna, che nell’aprile scorso s’è vista recapitare una busta con tre proiettili e un macabro messaggio: «D’ora in poi guardatevi le ombre».
Un’intimidazione a colei che si era opposta con decisione al blocco dei trasporti attuato tra fine 2011 e gennaio 2012, in parte fomentato dalla malavita organizzata.
«IL 7-8% delle aziende di autotrasporto anche in Emilia Romagna – spiega Franchini – è infiltrato dalla criminalità e in tempo di crisi il rischio cresce». Dati inquietanti denunciati anche da Giovanni Tiziana proposito della ricostruzione nelle zone colpite dal terremoto.
Ora la storia di Cinzia Franchini è raccontata, assieme a quella di altre cinque donne, in un libro ( Al nostro posto. Donne che resistono alle mafie, prefazione di Nando Dalla Chiesa) a cura di Ludovica Ioppolo e Marina Panzarasa per le edizioni Transeuropa con la collaborazione di Libera e Coop Adriatica. La sua vicenda è doppiamente emblematica per il coraggio mostrato. In primo luogo perché si è fatta strada con grinta fino al vertice della più grande associazione italiana di autotrasporto, un mestiere tradizionalmente maschile. In secondo luogo perché non è arretrata di fronte alle minacce mafiose.
Diventata “camionista” per amore a 22 anni, quando conobbe l’attuale marito, pure autotrasportatore, Franchini s’è messa al volante e da allora ha fatto molta strada. «Adesso mi sposto più in treno, perché il mio ruolo di presidente mi porta in ogni città d’Italia, ma non esito a risalire sul camion, se necessario». La sua attuale battaglia, però, è proprio contro la malavita organizzata che minaccia la categoria. «Siamo 110 mila aziende iscritte all’albo e se si considera l’8% inquinato dalle mafie ne esce un quadro inquietante».
La battaglia batte su più punti. «In primo luogo – riprende lei – le associazioni devono fare chiarezza al loro interno. In seconda analisi va cambiato l’accreditamento. Oggi basta avere la fedina penale a posto per iscriversi all’albo, ma i certificati spesso non ci dicono niente. Andrebbero incrociate le banche dati. Insomma – conclude la presidente – è vero che non si possono fare processi preventivi, ma è altrettanto chiaro che se si aspetta il terzo grado di giudizio la battaglia è già persa».
Fonte: CNA FITA