MILANO.
La Cina ci è vicina. Nel senso che dista appena 70 chilometri dal porto di Bari. L’Albania è stata per molti piccoli imprenditori italiani la prima “palestra” di internazionalizzazione negli anni ’90, dove produrre tomaie, pelli, filati. Semilavorati e prodotti finiti per il tessile e le calzature. Gli stipendi medi di un operaio sono ancora tra i più bassi dell’Europa orientale, attorno ai 200 euro al mese, ma Tirana non è più da tempo il clichè di scafisti e disperazione. E punta a potenziare la presenza straniera su infrastrutture, energia soprattutto idroelettrica e servizi (dalla logistica ai call enter che sorgono come funghi) come “hub commerciale”, forse più che produttivo, verso i Balcani sino all’area caucasica.
«Nel 2011 l’Italia si è confermata il primo partner economico dell’Albania. Le esportazioni hanno superato il miliardo di euro, con un aumento del 18% rispetto al 2010» aveva detto Monti due mesi fa accogliendo a Roma il presidente albanese Sali Berisha. Che, con il sostegno di Roma, punta a passare da “potenziale candidato” a “Paese candidato” all’adesione alla Ue «purché scrive la Commissione siano completate le riforme del sistema giudiziario e della pubblica amministrazione e la revisione del regolamento del parlamento». Insomma, rafforzare diritto e democrazia. Nel 2013 le elezioni politiche saranno il banco di prova. Burocrazia lenta e molto verticistica, che allungano gli iter per permessi e concessioni e nelle pratiche doganali legate soprattutto al rimborso dell’Iva a chi esporta (le aziende versano l’imposta sugli acquisti interni ed esportano in esenzione accumulando crediti) sono i nodi principali per le aziende straniere. Leggi tutta la notizia
Fonte: IL SOLE 24 ORE